Una delle parolacce più in uso ha una storia diversa dal riferimento alle gonadi maschili, leggete sotto da dove è nata l’imprecazione
Ammetto che io stessa sono stata, in tempi passati, una dispensatrice di parolacce! Le palle e le scatole erano un intercalare diffuso. Me ne dolgo, non era elegante, ma mi trinceravo dietro queste per chiudere i discorsi e le eccezioni. Negli anni ho ridimensionato l’uso. Ho riflettuto sull’uso, sempre più diffuso, di intercalare i nostri discorsi con amene imprecazioni di varia natura. In tema di linguaggio, quando si passa dall’infanzia all’adolescenza, ci si trova, per emulazione, costretti ad usare espressioni forti per non sentirsi diversi dagli altri.
Nella maturità si sfrutta il turpiloquio per imporsi sugli altri, collocando la trivialità verbale in una forma di quasi conformismo. Credo che le parolacce, per certi aspetti, siano una pesante manifestazione forza, una forma di vessazione, una violenza verbale che riteniamo “incolpevole”, dimenticando che il turpiloquio è sanzionato dall’art 726 del c.p.
Non sopporto chi dice ” quella ha le palle!”
E’ in uso un termine, per delineare una donna coraggiosa “lei ha le palle” La cosa mi ha sempre irritato. Darmi di coraggiosa, determinata, in gamba, relegando il mio valore in un contesto di “frattaglie” maschili, lo ritengo offensivo. Se proprio dobbiamo delineare il valore identificandolo con frattaglie si parli di organi comuni ad entrambi i sessi, è meglio dire “ lei ha fegato”, non incappiamo nel turpiloquio, non diamo immotivati meriti alle gonadi del sesso maschile .
Nondimeno ho voluto approfondire il significato di “avere le palle” e nel web ho fatto delle piacevoli scoperte, non ufficialmente garantite ma sufficientemente supportate da interessanti elementi di contorno, modi di dire riferiti ad usi durante la prima guerra mondiale.
Facciamo una piccola ricognizione didattica sugli attributi cari alla famiglia Medici, che di palle ha adornato ad abundantiam lo stemma. Pare che queste espressioni, anche se l’origine non sembra ancora accertata, siano un lascito di modi di dire della Grande guerra, quando nelle trincee ci si preparava ad affrontare il nemico.
Diffusi ma poco eleganti modi di dire riferiti agli organi sessuali maschili
“Avere le palle” la frase sembra si riferisca alle dotazioni dei soldati durante la prima guerra mondiale ( le palle di piombo che riempivano i proiettili). Ma le palle in certi contesti hanno definito la potenza di tipo politico, economico, relazionale, legami di sangue convogliato tutto quale forza militare munizioni e cannoni, (da sempre estremamente costosi). Una famiglia potente aveva dunque molte palle. Da qui il famoso detto “avere le palle” ispirato allo stemma mediceo. (sei palle rosse e quella in cima centrale armeggiata di Francia (azzurra, caricata di tre fiordalisi d’oro posti ) privilegio concesso da Luigi XI nel 1465 a Piero il Gottoso e ai suoi discendenti.
“Avere le palle girate” allo stesso modo quando si esterna questa imprecazione pare che sia sempre un’espressione ripresa dalle trincee durante la prima guerra mondiale e fa riferimento all’inserimento al contrario dei proiettili nei fucili (pratica vietata perché l’esplosione del proiettile aveva effetti disastrosi sul bersaglio). Infatti si legge nel web che si preparava un tipo di munizione artigianale: si estraeva il proiettile dal bossolo e lo si rimontava capovolto, la traiettoria risultava molto meno stabile ma nei tiri ravvicinati il proiettile pare provocasse ferite più estese. Anche qui in tempi moderni gli esperti smentiscono ciò, pare si tratti di una spiegazione suggestiva, ma la proceduta di “girare le pallottole” sarebbe pericolosa e quasi impossibile.
“Rompere le scatole “ anche questa amena espressione di fastidio, scocciatura, viene dalla prima guerra mondiale e rappresentava l’ordine di apertura delle scatole delle munizioni: il comandante esortava i soldati a “rompere le scatole” prima di un attacco. Quando arrivava quell’ordine significava che si stava per andare in battaglia, praticamente era un preparasi a fare fuoco, da qui l’uso odierno di questo espressione che indica una seccatura o una cosa fastidiosa. Nulla quindi a che vedere con l’ anatomia umana. Le scatole da rompere erano quelle in cartone leggero e sigillate che contenevano i caricatori da sei proiettili del fucile mod. 91 in dotazione alle truppe italiane.
E ora riflettiamo: perché diciamo le parolacce? Abitudine, sfogo, vizio, darsi un tono, mettere un paletto di distanziata aggressività? Spesso non ci facciamo più caso, le diciamo per abitudine, un intercalare automatico a sancire un pensiero, non ci facciamo più caso nell’ascoltarle. Esistono invece motivazioni profonde che condizionano il nostro eloquio, spingendoci a dire in modo triviale, aggressivo, ciò che potremmo esprimere con un lessico privo di tali cadute di stile. Nel web ci sono varie pubblicazioni; approfondite le problematiche, cercate di scoprire le motivazioni e ricordate “le buone maniere salveranno il mondo”
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